La confusione sull’introduzione del pensiero computazionale nelle scuole è grande. Non so se dipenda dalla storicamente scarsa dimestichezza della cultura italica con la parte logico-matematica del nostro cervello (e della storia del pensiero), da un magari in buona fede ma maldiretto tentativo di colmare il distacco con altri popoli, o dalla scarsa disponibilità di docenti abbastanza preparati e abbastanza coraggiosi da saper affrontare un cambio di paradigma che comunque non è più rimandabile.
Andare oltre lo studio di funzione
Riflettevo che non c’è nulla di più diseducativo, di più castrante di quell’ultima thule dell’insegnamento della matematica nei licei italiani: il famigerato studio di funzione. Un campionario di eccezioni, cavilli, casi particolari che riempiono di autentico nulla la testa degli studenti.
Quando invece il “motore” del pensiero matematico è la capacità di generalizzare, di dare lo stesso nome a cose diverse. I punti dello spazio e le funzioni su quello spazio, tanto per fare un esempio, si comportano nello stesso modo se riusciamo a “non vedere” la differenza; la distanza tra punti e la distanza tra funzioni hanno le stesse proprietà: tanto che possiamo costruire una geometria in entrambi gli “spazi” senza preoccuparci di sapere “dove” siamo.
Riusciamo a intuire la potenza di questo approccio? E intanto preferiamo ingolfare la testa dei nostri studenti delle scorie di una didattica antiquata e inconcludente che tradisce lo spirito stesso delle forme di pensiero che pretende di insegnare, che addestra anziché trasmettere conoscenza, che punta sul nozionismo anziché sviluppare creatività e pensiero speculativo. Stiamo preparando una generazione destinata a essere spazzata via dalle macchine.
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